I primi ricordi che ho del Lemene risalgono all'inizio degli anni '70. C’era una osteria, sulla riva. Il fiume scorreva giusto di fronte, appena oltre il campo da bocce in terra rossa e di là dalla strada. Nelle sere d’estate, quando i fari posti su alti pali isolavano il campo in una bolla di luce, il resto svaniva nel buio. Sparivano le libellule, fitte come moscerini. Le folaghe, che pedalavano con ritmo atletico controcorrente, scivolavano nell’ombra. Dal fiume e dai boccali di birra saliva un respiro fresco. I ciocchi secchi tra le bocce si alternavano ai commenti puntuti e salaci dei giocatori. Nel parcheggio, più biciclette che auto.
Nella parte interna di un’ansa appena accennata, la corrente rallentava. Sabbia, terra, alghe si accumulavano. Nel corso degli anni si era formata un’isola, con alberi alti ed un fitto sottobosco. Era isolata dalla riva solo quando il fiume si gonfiava; nei periodi di magra formava invece un promontorio dove i bambini vivevano avventure meravigliose e gli adulti raccoglievano vidisoni. O bruscandoli. Dipende dall’idioma.
I germogli del luppolo selvatico non sono gli unici a beneficiare di una doppia definizione. Il Lemene è acqua di confine; il suo nome deriva dal latino limen: frontiera, margine. Bagna campi dove si mescolano la parlata veneta e quella friulana. In quegli anni, mi avevano informato di un fenomeno particolare ed abbastanza diffuso: nei paesi lungo il corso d’acqua (piccoli agglomerati, a parte un paio di eccezioni) era normale sentir parlare veneto nell’abitato mentre nelle campagne si ascoltava il friulano. La tesi prevalente era che, quaggiù, la distribuzione delle lingue rispecchiasse la distribuzione (un tempo) del potere: nei centri, legati alla Serenissima dai commerci e dall’artigianato, si propendeva per la lingua della Repubblica; nella campagna, i contadini erano maggiormente legati al friulano. In friulano, Lemene si dice Lemit. Ancora più chiaro.
Dalla sorgente alla foce, il fiume è lungo 45 chilometri; nasce nella zona delle risorgive, in Friuli e percorre il primo tratto chiamandosi Roggia Versa. Lungo il percorso riceve le acque della Roiuzza e della Roggia di Gleris, del Venchiaredo, del Rio Roiale, della Roggia Versiola, del Reghena, della roggia di San Giacomo. Attraversa i territori dei comuni di Casarsa della Delizia, San Vito al Tagliamento, Sesto al Reghena, Gruaro, Teglio Veneto, Portogruaro, Concordia Sagittaria, San Stino di Livenza, Caorle. Raggiunge il mare, mescolandosi ad altre acque, a Porto Falconera, appena a nord-est di Caorle, sull'Adriatico.
Lungo il suo corso, ho individuato quattro mulini. Forse ce ne sono altri, ma non mi ci sono imbattuto. Se vi va, ecco qui sotto i sentieri (informatici) che portano alle pagine che li abbozzano. E che poi vi condurranno alla foce.