Attenzione: a parte Portogruaro, si giunge ai mulini attraverso strade di campagna a volte strette, a volte difficili. In un caso anche impossibile da percorrere con un camper: è via Bassa, nel tratto che va da San Nicolò (Portogruaro) al centro di Portovecchio. La ragione: il passaggio sotto l’autostrada, troppo basso e troppo stretto. Bisogna scegliere altri percorsi. Forse esistono anche altre strade impossibili. Mai ostinarsi; quando serve, meglio lasciare il camper dove si può farlo in sicurezza e raggiungere l’obiettivo in bicicletta, o a piedi.

Il mulino di Boldara, sul fiume Lemene
il "mulino grande" Macinava granaglie, tagliava legno, lavorava tessuti

BOLDARA: fabbrica, non solo mulino

Accanto ad un ponticello in ferro, a picco sull’acqua, stà un vecchio edificio di tre piani. Zone di muro intonacato in rosso ricordano il colore mostrato quando era ancora attivo, e punto di riferimento per i contadini e gli artigiani della zona. Se ne ha notizia già nel medioevo; con opportuni rimaneggiamenti, è rimasto in funzione fino agli anni ‘60 del secolo scorso.
Sotto la prima gronda, si intuisce tutt’ora la scritta: Mulino di Boldara.

Un tempo le ruote erano tre. Il fabbricato non ospitava solo le macine, ma anche gli ingranaggi che muovevano una sega ad acqua ed un impianto per la lavorazione dei tessuti.

Passando a sinistra della costruzione si entra nel parco. Un'area tranquilla e bella. La strada che passa accanto al mulino è scarsamente frequentata e quasi non si scorge; camminando lungo la riva, domina il calmo fragore delle cadute acqua. Formano cascatelle; le ruote a pale che dovevano muovere, però, non si vedono più.

fiume Lemene, Boldara: la coppia di cigni del laghetto

Un sentiero percorre la semicirconferenza che la riva forma avvolgendo lo specchio d’acqua di fronte al mulino. Una coppia di cigni ha messo su casa in una isoletta che si è formata nella zona più tranquilla del laghetto. Nel bosco, alberi di diverso tipo sono segnalati da cartelli che riportano il nome della pianta indicando il termine scientifico, quello italiano, quello veneto. Mi sono imbattuto in un ontàno (termine italiano). Nella parlata della locale si dice orner; in altre zone del Veneto (ma anche in Lombardia) si chiama onàro. E’ il primo albero del quale ho conosciuto il nome in veneziano. Sono passati cinquanta anni, ma ricordo ancora il contesto: un amico citava un proverbio che recita “l’onàro no fa vampa ma fa ciàro”. L’ontano non avvampa ma illumina.

un cartello legato ad un ontàno ne illustra le caratteristiche

Oltre ad illuminare senza incendiare le suppellettili accanto al camino, l’onaro possiede un’altra qualità: è resistente all’acqua. Gli onàri, assieme a tronchi di altri legni, sono stati utilizzati a milioni, piantandoli con il battipali, per consolidare il terreno delle isole sulle quali è stata costruita Venezia. Per la sola superficie sulla quale è stata eretta la Basilica della Madonna della Salute -vedi foto-, secondo stime di fonte prudente ne sarebbero stati utilizzati 100.000. Un’altra testimonianza, invece, riferisce di oltre un milione. Si conficcavano nel terreno con il battipali.

fiume Lemene, Boldara: cascatella del mulino
fiume Lemene, Boldara: un sentiero nel parco

a piedi nudi nel parco

Su un cartello assicurato ad un albero del parco, all’ingresso di un camminamento che si inoltra nel boschetto, si legge “sentiero Abebe Bikila”. Ricorda un celebre fondista africano. Veniva dall’Etiopia; gareggiò alle olimpiadi di Roma, nel 1960, e di Tokyo, nel 1964. A Roma conquistò l’oro correndo i 42 chilometri e 195 metri della maratona a piedi nudi. A Tokyo (questa volta con le scarpe) oro di nuovo.

fiume Lemene: Boldare, salto d'acqua
le cascatelle ci sono ancora; le pale, invece, non più
fiume Lemene, Boldara: salto d'acqua prima dell'ansa
Venezia (Italia), Basilica della Slute: fondata su milioni di pali
basilica madonna della salute

Il battipali è un maglio, a volte così pesante (anche 300 chili) da richiedere di essere sollevato attraverso una macchina a funi da più operai contemporaneamente. Poi, lo si lasciava ricadere sulla testa del palo. L’operazione doveva essere coordinata; per lavorare all’unisono, si intonava un canto lento ma fortemente ritmato chiamato (appunto) battipali.

Chi desiderasse ascoltarlo, può trovarne qui una delle versioni:

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Balanzin | Viaggi tra le righe

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