Stefano Maria Ricatti è un compositore. Anche uno strumentista; un insegnante; un karateka; un velista; un tennista. Un amico. Chiacchieriamo volentieri, quando capita che ci si veda. Molti argomenti. Anche musica, nonostante la sproporzione di conoscenza. Però a me piace ascoltare ed imparare.
Ecco il racconto di momenti all’interno di un mattino trascorso assieme nel suo studio, prima di dedicarci anima e corpo a pasta e carciofi, più un bicchiere di buon vino rosso ed un dolce consigliato dalla fornaia sotto casa. Non posso affermare di aver afferrato appieno tutto ciò che Stefano ha compreso nel tempo
Stefano si siede al piano, portando le dita delle mani alla tastiera come le zampe i ragni d’acqua sulla corrente. “Tempo fa, lavorando a musiche che dialogassero con un testo di Ruzante, mi era uscita dalle mani una sorta di canzona dalla dimensione un po’ arcana. Questa:
“Sono disposto a resistere fino alla malinconia”.
“… poi, è iniziata la fase di orchestrazione per conferire a ciascuno dei ragazzi un proprio ruolo ed anche la possibilità di esprimere il proprio punto di vista all’interno della struttura con spazi di improvvisazione”.
“In un lavoro così rigoroso non mi aspettavo una apertura alla improvvisazione”
“L’improvvisazione apre nuove prospettive; vive spazi riservati, dove ogni orchestrale, con il proprio strumento, deve metterci del suo. Successivamente, valutiamo assieme quali possibilità armoniche
“Immagino non sia la modalità di lavoro standard”.
“Dipende: se scrivo musica di scena o per la danza, rigorosa e misurata al microsecondo, non posso lasciare i ballerini in balia dell’estasi dei musicisti. A meno che non sia previsto così dalla regia generale, in cui anche il ballerino/a si esprime in libera creazione assieme ai musicisti. Lo abbiamo sperimentato in uno spettacolo nel quale esistevano momenti di creazione in scena, dove il gesto del ballerino prendeva vita in una atmosfera emotiva proposta dalla musica, melodia, armonia, ritmica, colore.
“Ha già un titolo, il brano?”
“Si: Amore An. Ho lasciato quello originale del canto scritto per l’opera di Ruzante. La lingua che Ruzante usava, ostica ma piena di ritmo, di colori vocalici, rappresenta un buon punto di ispirazione per chi scriva musica. Il brano era nato all’interno della situazione che ho raccontato prima; adesso, lo sto trasformando in un pezzo per quartetto. Se vuoi possiamo ascoltare il risultato di una prova, in cui si sente e si capisce la direzione che può prendere”.
“Assolutamente sì. Quale è il tuo strumento?”
“Chitarra. Soprattutto elettrica”.
“Quindi, non il piano?”
“No. In precedenza ho utilizzato il piano per spiegarti la struttura del lavoro; però, in questo pezzo suono la chitarra”.
“È possibile sentire come ciò che abbiamo ascoltato al piano si trasferisce poi alla chitarra”?
“Sì. Passando dal piano alla chitarra si usano muscoli completamente diversi...”.
“Cosa ritroveremo nella chitarra di ciò che hai eseguito al pianoforte?”
“Tutto, ma separato.Prima suono alla chitarra la parte che, con il piano, era eseguita dalla mano sinistra. Ossia, la parte del basso. Con la loop machine la registro mentre la suono; poi, sopra incido la melodia che al piano suonavo con la destra. Devo farlo separatamente, perché mentre per produrre un suono al piano il dito spinge un tasto e lo ottiene, con la chitarra devi usare due mani per trarne un suono. Vado: prima registro la base, poi, al volo, la melodia”.
“Accendo il registratore. La qualità sarà quella modesta di un piccolo digitale, però… quando vuoi”.
Se vi va di conoscere meglio Stefano ed il suo lavoro come compositore e musicista, visitate il suo sito:
https://www.stefanomariaricatti.it
Stefano lo si incontra anche su instagram: